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Contributo unificato, definizione e calcolo

Chiunque abbia avuto a che fare con un procedimento giuridico, sia esso civile, penale o amministrativo, ad un certo punto si è dovuto confrontare con la nota dolente di una fattura per prestazioni legali.  A lasciare perplessi, però, il più delle volte non è tanto la cifra finale quanto le voci messe in lista. Nella maggioranza dei casi, infatti, si tratta di causali ignote ai più che nascondono tasse o variabili previste dal tariffario professionale. Una di queste è il cosi detto contributo unificato, la cui natura è ignota, almeno nella maggior parte dei casi. In questa sede, però, proviamo a svelare il mistero che lo circonda, sentendoci meno sprovveduti e sprovvisti di conoscenza legale.

Per contributo unificato, dunque, s’intende una tassa che, dal 1 marzo 2002, ha accorpato tutte le spese sostenute per avviare un procedimento. Nello specifico comprendere l’imposta di bollo, la tassa di iscrizione a ruolo, i diritti di cancelleria e i diritti di chiamata in causa dell’ufficiale giudiziario.  A questo punto è chiaro che ci troviamo difronte ad una tassa che si deve obbligatoriamente pagare per partecipare alle spese giudiziarie. Come procedere, però, al suo pagamento? Acquistando semplicemente un valore bollato adeguato al tipo di causa intrapresa. Nel calcolo del contributo dovuto, però, bisogna tenere conto che il suo valore è destinato ad aumentare con il procedere dei gradi della causa. Questo vuol dire che sarà maggiore nel caso in cui si ricorra all’Appello e addirittura raddoppiato qualora si arrivi difronte alla Corte di Cassazione.

Contributo unificato, come si calcola

Chiarita la natura del contributo unificato e quali voci spesa contiene al suo interno, è la volta di appurare se esiste un metodo di calcolo cui poter far riferimento per avere un’idea precisa dell’ammontare della tassa. La procedura, però, non sembra delle più semplici, visto che, come abbiamo chiarito fino a questo momento, il suo valore economico corrisponde al tipo di procedura legale sostenuta. Questo vuol dire che per individuare il valore esatto del contributo è necessario capire quello della causa in corso.

Una formula facile da enunciare ma non altrettanto da dimostrare. Per dissolvere le nebbie che possono addensarsi intorno a questo argomento, però, ecco che arriva in aiuto l’art.10 del codice di procedura civile. Secondo quanto enunciato al suo interno, infatti, il valore della causa è dato dal tipo di domanda richiesta nel procedimento stesso. Cerchiamo di essere più chiari. Alla base di una causa c’è quello che, i  termini giuridici, viene definito un bene. Ossia una somma da riscuotere, un indennizzo o una prestazione da pretendere. In definitiva, una causa per risarcimento danni avrà lo stesso valore economico dell’importo richiesto come risarcimento. Stabilito il valore della causa, secondo il suo grado, è sufficiente far riferimento alle tabelle redatte per conoscere esattamente l’ammontare del contributo unificato. Prima di concludere, però, vogliamo ricordare che esistono dei procedimenti cui viene imposta un valore fisso, non variabile. Si tratta di cause in cui, ad esempio, non è possibile individuare un valore specifico.  In questo caso si risolve il problema applicando lo scaglione che va dai 26.000 ai 52.000 euro.